Siamo ancora donne sole? Giudizi, molestie e altre bugie
In questo articolo affronteremo la peculiare tendenza degli uomini ad isolare le donne, a molestarle, raccontando loro la bugia che “una donna sola” non conta nulla, a lei nessuno crederà. Ci hanno insegnato che una donna senza accanto un uomo, senza l’appellativo della “moglie di” è fragile, vulnerabile e attaccabile. In questi ultimi quarant’anni mi si sono incastrate negli occhi storie di donne ferite e umiliate, ridotte al silenzio, lasciate sole… ma è ancora così? O questa solitudine è diventata una moltitudine di voci, una primavera che mai più sfiorirà?
Il primo diverso della storia umana: la donna
Una delle peggiori caratteristiche umane è la tendenza a nascondere ciò che non capiamo, e che quindi ci disturba, nel ripostiglio impolverato della nostra ignoranza. É ciò che accade con la tanto temuta diversità, ne siamo terrorizzati, spiazzati è l’incubo peggiore dei detentori della normalità. Se vi serve un esempio pensate ai sostenitori di Fratelli d’Italia, per loro ogni cosa deve essere com’era, non deve cambiare e se già è cambiata è sbagliata (vedi le famiglie arcobaleno).
Eppure anche se è cosa nota che il cambiamento è l’unica variabile costante nell’universo e nella vita di ogni individuo, esso continua a turbarci, come Halloween ogni stramaledetto anno, perché percepito come sconosciuto, incontrollabile e incomprensibile. Per correttezza informo i gentili lettori che Halloween non è una festa americana e neanche moderna, è antica e di origini scozzesi, poi come tutte le cose si è evoluta e adattata.
Molto interessante e meritevole di approfondimento è la scelta che i detentori della normalità fanno per superare questo limite, ossia non fare nulla se non contrastare ciò che non è in linea con le loro convinzioni. Si tratta di individui privi di dubbi, loro sono come la lega della giustizia, però in un mondo monocolore- azzarderei un nero ‘simil fascio‘. Hanno in mano la verità e ciò che differisce da loro per idee, valori e credenze va tenuto sotto uno stretto controllo. Il controllo è lo strumento del potere.
Dalla paura di perdere il potere acquisito sono nate nei secoli luoghi deumanizzati come ghetti, lager, manicomi, istituti di correzione. Dove poter nascondere categorie di individui disturbanti, cacofonici. Ancora oggi per molti non è tollerabile vedere due ragazzi tenersi per mano, un uomo con la gonna, una donna con la gonna corta. Anzi ci sono tutta una serie di cose che una donna non può fare, perché come Andrea Gianbruno insegna, sempre a noi donne, si rischia di incontrare il lupo.
Se esiste il diverso è perché esiste una norma, un modello che qualcuno ha stabilito essere il centro dell’assetto sociale: uomo, bianco, etero, abile. Da questo è facile dedurre che viviamo in un mondo fondato sull‘androcentrismo , ossia su una visione esclusiva o prioritaria del potere del maschio nella società.
Le origini di questa visione ridotta della realtà sociale, segnano la nascita del primo diverso della storia umana: la donna. Pensate alla figura mitologica di Eva, nata dalla costola di Adamo, creata per assecondare, con la sua obbedienza, e giustificare il peccato della carne, con il suo istigare. Vi ricordo che il poveretto di Adamo era un retto, che quella volta che ha sbagliato non era colpa sua, ma di Eva. Da questa premessa abbiamo creato un modello uomo-donna in cui spesso gli errori del maschio sono da attribuire a qualcosa che una donna ha fatto. Vi sembra familiare come dinamica?
Giudizi, molestie, bugie
Tutto questo per dire che la visione adrocentrica spiega la paura che qualcuno o qualcosa possa compromettere quel potere. Per evitare che ciò accada l’uomo tende ad isolare, dunque a far sentire sole le donne, come se essere sole fosse una colpa da “pagare”. Questa la più patriarcale bugia.
Vi racconto una storia: intorno agli anni 90, una donna che lavorava presso degli uffici pubblici, viene fatta chiamare in un altro ufficio da un suo collega uomo (sposato con prole). La donna di recente divorziata (tra le prime, siamo in Sicilia) viene fatta sedere e il collega chiude la porta a chiave. Lui senza nessuno che glielo ha mai fatto credere, è fermamente convinto che quel corpo è suo e che inoltre la donna lo desidera (l’ego che distorce). Questo infimo individuino dunque le infila una mano tra le gambe, la donna lo respinge e lo minaccia di urlare se non apre la porta. Lui la odia, perchè lo ha rifiutato, perché non ha obbedito. La aggredisce verbalmente, intimandola a non raccontare a nessuno della faccenda… tanto sarebbe la sua parola contro quella di una donna sola, appunto, divorziata (richiamo alla vergogna sociale della scelta fatta) e di conseguenza una puttana, una facile. La donna però non si arrende e va dal responsabile di settore, un uomo ovviamente, a raccontare dell’accaduto. Lo stesso la convince di non continuare con ‘questa storia’: cosa diranno in paese di lei? La sua reputazione è già in cattive acque per la sua decisione di separarsi dal marito.
Questa cosa è successa, questa cosa ancora succede. E per chi crede che le parole non diano senso e non plasmino la realtà sociale ricordo che il termine “molestia” , e di conseguenza il crimine molestia, non veniva usato per definire fatti come quelli in quanto non ritenuti gravi, ma innocue avance (che si sa alle donne piacciono, fanno solo finta che non sia vero). Dare il nome alle cose le fa esistere, è per questo che molti hanno tanta paura di alcune parole: femminicidio, patriarcato, molestie, famiglie arcobaleno e tante altre.
m. sessuale (più spesso usato al plur.): l’atto di infastidire con comportamenti, parole o atti indesiderati a sfondo sessuale.
Treccani
In un mondo in cui il giudizio predomina sulla riflessione e sulla consapevolezza di “non sapere” (citando Socrate) qual è il metro di giudizio con cui si valuta una donna?
Ancora oggi una donna viene giudicata secondo un unico criterio, la sua condotta sessuale reale o presunta. A questa va aggiunto il grado di libertà, sessuale e sociale, a cui aspira o di cui gode.
@la_storyteller_errante
Viviamo ancora in una società a “misura d’uomo” dove si ritiene normale normalità che una donna debba essere costantemente giudicata e paragonata ad un modello di moglie-madre fortemente limitante e discriminante, ma accomodante e funzionale per gli uomini. Gli uomini così esistono, così realizzano se stessi come nel lavoro ad esempio, sottraendo esistenza alle donne. Se credete che sia solo un iperbole femmista, ditemi oggi ad esempio e sinceramente su chi grava il peso della casa e dei figli.
Ditemi quanto spesso tra amiche si narrano le gesta di mariti che si comportano come figli, trattati come tali, accuditi e tenuti a bada perché, tra le tante bugie, quello della donna che esagera tutto e disturba gli uomini “parlando troppo” è ancora tra le vette della classifica: stereotipi e altre cazzate.
Mia nonna mi ripeteva sempre due cose. La prima era di non fidarmi mai degli uomini, neanche di quelli della famiglia, la seconda di “avere lo zucchero in bocca” quando mi capitava di parlare ad un uomo. Mi accarezzava con i suoi occhi verdi e zittiti raccomandandomi di non essere “superba”, cosa che invece io ero, una spina nel fianco, una che non stava zitta mai. Dalla sua vita e da quella di altre percepivo che ad esse il mondo era stato nascosto, sottaciuto, e con esse sottomesso. Ho ascoltato il primo consiglio della nonna anche se non ha funzionato, però per il secondo nulla da fare, di zucchero in bocca non ne ho, ma di amaro superbo tanto.
Per tutti quelli che stupidamente accusano le donne di essere arrabbiate con gli uomini, come se fossimo noi le pazze, le cattive, voglio rassicurarli che è vero: siamo arrabbiate, per tutto quel tempo e per questo tempo di isolamento sociale, per la violenza che vi sembra naturale riservarci.
Prima di lasciarvi voglio accennare a un fatto che, purtroppo, è ancora in vita e di cui io sono testimone senza però riuscire a far nulla. Conosco una giovane donna che crede che la violenza sessuale che ha subito sia in gran parte colpa sua, il suo attuale fidanzato fa leva su questo “suo sbaglio per tenerla al guinzaglio”. Facendola sentire perennemente una condannata con una pena da scontare.
Non mi fermerò fino a quando esiteranno uomini così, fino a quando essere una donna non sarà uno svantaggio, fino a quando le disparità sociali, di genere, non saranno eliminate e insieme ad esse questa estenuante categorizzazione. Ma voi non siete stanchi di stare dentro ad un contenitore?
Quando finalmente vedremo l’altro non come opposto o diverso da noi, non con la sua zavorra di etichette sociali e culturali, ma semplicemente per quello che è, una persona, capiremo quanto tempo abbiamo perso a definire chi siamo invece di “essere” chi siamo: persone, siamo solo persone.