Storytelling e psicologia: la chiave per influenzare le scelte d’acquisto
Ti sei mai chiesto e chiesta cosa ti ha spinto a compare proprio quel maglione? A consumare determinati prodotti, a vivere certe esperienze? O da imprenditrice ti sei chiesta come lo storytelling influenza le scelte d’acquisto? Qui troverai le risposte (la soluzione del maglione alla fine, non sbirciare).
Psicologia: cos’è il pensiero narrativo?
Oggi l’importanza dello storytelling come strumento di marketing efficace per una buona comunicazione aziendale è ormai conclamato, ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire perché è così importante nelle scelte d’acquisto di beni e servizi.
Il primo a comprendere l’importanza dello storytelling è stato Jerome S. Bruner, insieme alla psicologia di orientamento cognitivista, riconoscendo che nella mente umana oltre ai processi logici e alle operazioni formali dimorano le storie.
Lo psicologo statunitense distingue due tipi di pensiero, grazie ai quali comprendiamo il mondo e noi stessi:
- Pensiero paradigmatico: cerca le cause generali dei fenomeni seguendo un sistema descrittivo formale e matematico, basato sui principi di coerenza e non contraddizione.
- Pensiero narrativo: si occupa delle “vicissitudini e delle intenzioni umane”.
Dunque mentre il pensiero scientifico si fonda su ragionamenti di tipo razionale, tutto ciò che ha a che fare con le relazioni tra individui, la cultura, la dimensione sociale dell’esperienza è strutturato, pensato e manifestato in forma narrativa. Ecco perché le storie hanno potere su tutti noi.
Cosa ci succede quando ascoltiamo una buona storia?
Quando ascoltiamo una buona storia (delle cui cui caratteristiche scriverò in un altro approfondimento) i i nostri blocchi razionali vengono in parte assopiti, poiché veniamo travolti dall’esperienza che stiamo facendo in quel momento. Qualche volta veniamo così tanto risucchiati che perdiamo anche il senso di spazio e tempo, viviamo ciò che viene chiamata trance narrativa.
“Ascoltando una storia i nostri registri critici e razionali operano in modalità ridotta”
Guido Di Fraia
Per noi non conta che la storia che ci stanno raccontando sia vera, ma solo che sia verosimile (patto finzionale) e che ci sia coerenza nello svolgimento delle azioni narrate. In sostanza le storie ci inducono a mettere in pausa la nostra incredulità… ciò consente ai contenuti a cui veniamo esposti di pervaderci e lasciare tracce, che qualche volta diventano parte di noi.
Una buona storia ci permette di immedesimarci (grazie ai neuroni a specchio) con il protagonista e le sue vicende, dunque riusciamo a sentire come il protagonista sente, ossia emozioni come paura (urliamo al cinema ad esempio), commozione (piangiamo), amore (e di nuovo piangiamo) ecc. questo potere emozionale è legato ad un’altra caratteristica delle storie: il loro contenuto è più facile da ricordare. Come ho già scritto, la mente ricorda o per ripetizione o per emozione. Difatti quando pensiamo a chi siamo lo facciamo attraverso un processo narrativo, in sostanza ci racontiamo una storia, anzi tante storie che con il tempo si aggiungono e cambiamo .
Le storie: la chiave delle nostre scelte d’acquisto
Delle cose fin qui trattate, è arrivato il momento di dirvi quali sono le implicazioni nel marketing e nella comunicazione aziendale e per farlo vi darò la soluzione del maglione.
Se vi dicessi che i consumi contemporanei sono dettati solo in minima parte da bisogni reali, e che dunque quel maglione specifico non lo compriamo per riparaci dal freddo, bensì per due delle caratteristiche più influenti nel processo d’acquisto:
- caratteristiche materiali: colore, forma, modelli, stile, mode;
- caratteristiche immateriali (ancora più potenti delle prime): valore del brand, dimensione simbolica ad esso associate.
Sarà proprio indossando quel maglione che racconteremo a noi stessi (costruzione identitaria) e agli altri (rappresentazione del sé) chi siamo o chi vorremmo essere, o ancora meglio come vogliamo essere percepiti dal mondo esterno.
Dunque l’identità narrativa, le storie sono il cuore dei processi d’acquisto: noi “compriamo e consumiamo storie”, non beni, non servizi, non esperienze. Mi spiego meglio, ciò che acquistiamo (le storie incorporate nei beni e servizi) lo scegliamo perché portatore di contenuti che ci aiutano a definire la nostra identità.
Un tempo gi individui vivevano la condizione di un’identità predeterminata, la loro vita “dalla culla alla tomba” era già decisa (se nascevi figlio di un contadino e questo che avresti fatto tutta la tua vita, ad esempio). Mentre nella post-modernità liquida, dove tutto si consuma velocemente, tutto ha scadenza (pensate al lavoro a tempo determinato, al tasso dei divorzi in crescita, alle relazioni precarie sui social) siamo chiamati a costruire senza mai fermarci la nostra identità, perché essa è frammentata, incerta, un “work in Progress” eterno. Citando Andrea Fontana:
Nella post-modernità, le domande ‘chi sono’ e ‘da dove vengo’, da domande esistenziali tardo- romantiche sono diventate vettori d’azione che si esprimono nelle pratiche di consumo di beni, servizi e esperienze.
Le aziende, i brand sono i principali produttori simbolici di cui ci nutriamo, e le tracce emozionali che ci lasciano attraverso la comunicazione, diventano parte di ciò che siamo. É per questo che saper raccontare la propria storia aziendale ci connette agli altri in modo duraturo.
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