Il mio viaggio in Egitto: cose che non vorresti sapere
Premessa: leggete questo articolo se l’unica cosa di cui vi importa è il modo in cui il mondo si riflette su di voi. Leggete questo articolo se per voi il turista è autorizzato a fare ciò che più gli piace solo perché paga e se quel turista siete voi. Leggete questo articolo se non indossate mai gli occhi di qualcuno altro, oggi ve ne offro l’ occasione. Non c’è di che.
Qualche anziana signora/ signor* come me ricorderà la famosa pubblicità di Alpitour del 1989, se così non fosse cliccate e guardate. In sintesi vi è un certo Carlo che guida una jeep fuori controllo nel deserto, nel sedile accanto la moglie (inaspettatamente bionda con cappello arabo) che incontra un tizio su un cammello o dromedario (?) al massimo del suo stereotipo estetico che pronuncia il claim più famoso del settore turistico: “Turista fai da te? No Alpitour? Ahjajajai” e si sganascia dalle risate. Non ho mai capito cosa ci fosse da ridere ed avevo solo 8 anni, però – e qui arriva il bello- sono caduta a faccia in giù nel cliché e sono diventata Carla che ha scelto Alpitour per andare in Egitto, che cosa terribile invecchiare e cercare tutti i confort anche dove la popolazione che ti ospita ne è assolutamente sprovvista. Se me ne vergogno? Assolutamente sì.
Crociera lungo il Nilo con vista mozza cuore – poi in aereo fino al Cairo
Sono così ingenua e pura da non sapere che quando parti con un tour operator poi sei costretta a stare con altri italiani e a sostenere conversazioni socialmente approvate, non solo durante le visite nei siti archeologici ma anche a colazione, pranzo e cena. Il lato positivo di questa costrizione? Capire finalmente lo spot e la resa di gruppo: gli italiani senza bere l’espresso sono spacciati, finiti, caput – io non riesco neanche a parlare.
La mia vicina di ristoro era una donna sulla settantina, milanese, trapiantata da qualche anno in Sicilia, sembra assurdo lo so, eppure la cosa più strabiliante era il suo accompagnatore/marito: di origini pugliesi con accento milanese in stile “we pirla”, parlatore seriale della sua vita, uso di un solo pronome personale -io, agricoltore e fotografo per passione, ma solo con il flash (specialmente quando profanavamo le tombe di quei signori Faraoni e c’era poca luce- e che cazzo).
Due cose dovete sapere se decidete di fare questa esperienza, la prima è che quando andate a vistare la Valle dei Re e tutti gli altri siti ci sono milioni persone ed è inutile che bestemmiate perché nelle vostre foto ci sono dei maledetti turisti, perché siete voi quei maledetti turisti. La seconda è che se stabilite di andare a visitare il tempio di Abu Simbel non vi allarmate se dovete svegliarvi alle tre ed essere scortati nella notte dalla polizia, dicono sia normale- concetto sul quale torneremo più avanti. La terza, l’aggiungo adesso, e che se siete un pochino “svegli umanamente” soffrirete come quel cane che ho visto divorato dai parassiti sotto i 40 gradi egizi o come quei cavalli denutriti che trasportano in calesse e con passo svelto noi turisti per città che somigliano al racconto di Dino Buzzati – Il deserto dei Tartari.
E ancora continuerete a stare male quando il vostro sguardo semi appannato dal vetro di un pulmino sgangherato – jajaja Alpitour- percorrerà le strade di quelle città da Luxor a Assuan fino all’immensità del Cairo con 9 milioni di abitanti, un alveare di case e palazzoni enormi ma con appartamenti minuscoli dai quali fuoriescono come un urlo di stanchezza i motori dell’aria condizionata, ma solo se sei “ricco”.
Case che sembrano siano state staccate l’una dall’altra dalla forza divina di Ramses II in persona, lasciandone alcune vulnerabili alla vista del passante che ne può immaginare l’interno, appezzamenti colorati e cornici di cemento sono la nuova facciata di ciò che ne resta dopo la demolizione.
Mentre il mio pulmino fatto di italiani corre per le strade del Cairo nel suo primo giorno di celebrazione, la fine del Ramadan è una festa che dura tre giorni– un alone di polvere emerge dalla terra sacra del Nilo, tutto si mischia al suono dei clacson, unico strumento di comunicazione tra gli automobilisti. Non ci sono regole ma ci sono uomini agli angoli delle strade con dei fucili. Ci sono dei bambini sulla montagna di spazzatura trasportata da un piccolo camioncino che sbanda sull’asfalto bollente e ci supera.
Vorrei essere chiara quando parlo di vista mozza cuore è questa. Questa, insieme a me che bevo prosecco dalla mia piscina della mia nave che impuzzolisce il Nilo, creatore di una delle culture tra le più affascinanti della storia umana. Mentre le bollicine dell’alcol fanno il loro sporco dovere, sento tutto il peso del mio senso di colpa da borghese occidentale e da impotente umana.
Ovviamente potete scegliere di vedere solo il passato, annullando il presente di un popolo che di glorioso non ha più nulla perché è troppo impegnato ad essere povero e a restarci. Potete fare delle foto divertenti delle piramidi da postare sui social, potete andare in giro a spargere la vostra cultura da viaggiatori, potete sempre scegliere cosa conta di più e io spero sempre che siano le persone.
Conclusioni per voi maledetti turisti
Mentre ero circondata dal “turismo di massa” tra i templi, tombe, luoghi imponenti in cui la nostra guida ci ha condotti, ogni volta mi sono sentita un’invasore, una di quelle che contribuisce ad inquinare i geroglifici egizi con il proprio respiro, con il proprio sudore. Perché ero lì? Non meritavo di esserci, non sono una nerd egittologa, esploratrice di mondi, sono solo una babbana che voleva “provare qualcosa di forte”… potevo farmi un gin tonic ma converrete con me che trovarsi faccia a faccia con l’ego spropositato di certi faraoni non è paragonabile.
E mentre allegre goccioline di sudore perforavano i miei occhi invece di intravedere formule matematiche o visioni ancestrali ecco le domande finali: siamo veramente sicuri che ogni luogo sulla terra ci appartenga di diritto? Abbiamo ridotto il patrimonio storico e umano ad un’enorme slot machine sputa monete d’oro per i colossi del turismo? La risposta alla prima domanda è indubbiamente no, alla seconda è assolutamente sì.
Infine voglio dire che ho sentito mormorare tra i miei colleghi italiani che le donne sono abituate a portare la veste nera con 50 gradi, che chiedere l’elemosina per i bambini è normale, che alla povertà ci si adatta. Quante bugie.
In verità:
Ci abituiamo alle cose brutte solo quando stanno accadendo o sono successe ad altri, nascondiamo il fallimento della società civile sotto la frase più perbenista della storia umana.. è la loro cultura.
Alle cose brutte nessuno deve abituarsi né chi le subisce né chi come noi le osserva da spettatore pagante (come un pirla direbbe il mio amico). Una notte ho sognato di aver trovato la soluzione logistica alla povertà nel mondo, spero di farlo sempre quel sogno, spero che lo facciate anche voi insieme a me. Stronzi.
Ps: Ho scritto questo articolo per tutti quelli che mi hanno chiesto se in Egitto mi sono divertita.