Il giorno che precede il fuoco che verrà si presenta al popolo siciliano come una coltre di nubi, un mare di lamiera, pullula e macchia gli occhi il grigio caldo dell’aria.
Ed eccolo il giorno del sole rovente, del vento che bolle increspando la luce, che frettoloso scorre animando le sterpaglie, le illumina, le infiamma.
Le rende ciò che non erano, vive e come ogni cosa che vive vuol vivere di più… e così prende alberi secolari, prende abitazioni, le fa esplodere con il gas: auto, posaceneri, bar, fruttivendoli, persone.
Brucia la Sicilia da Palermo a casa mia, esplode in mille vulcani, si fonde come la lava… quando arrivano i soccorsi? Non ci sono unità. Non ci sono canadair. Non c’è acqua, non c’è luce, non c’è linea. L’inferno è sceso, qualcuno piange, qualcuno scappa, l’emergenza diventa un rogo senza nessuno che lo ascolti.
Oggi, 26 luglio ci si (s)batte il petto, noi del popolo, noi che scriviamo liriche alla “Nostra Sicilia“, definendola forte, fimmina, bedda.
Un’auto proclamazione di frasi fatte che non ha mai reso questa terra migliore. La Sicilia non è mia, non è Nostra, non è forte, è fragile come ogni luogo sulla terra… e non ha bisogno di smielate social o discorsi politici, ha bisogno che chi la definisce “la mia terra” smetta immediatamente di farlo.
Perché solo quando smettiamo di esercitare il possesso su qualcosa, ci rendiamo conto di quale privilegio sia poter vivere questo sconosciuto tempo che ci è concesso qui, sulla terra, tutta, non mia, non tua, che non ha margini e non ha limiti di abitabilità, che non va consumata, ma gentilmente presa in prestito.
Onora il prestito, lascia l’orgoglio del patriota allo stolto che crede di vivere in eterno.
La Sicilia non è mia, non è nostra, non è forte, è fragile.
Un brusio di voci negano colpe, un brusio di “inquinatori” secolari volta indietro gli occhi.
Negare, procrastinare, consumare, accumulare, buttare, seppellire cose, acquistare ancora cose, sfruttare chi costruisce cose, ammalarsi, morire.
Che delinquenti quelli con le vernici, questi giovani andassero a lavorare, che fanatici gli ecologisti, che viziata quella Greta.
Il pianeta non è mio, non è nostro, non è forte. È fragile.