Cosa ci spinge a comunicare e perché non scegliamo noi di farlo
“Per capire se stesso l’uomo ha bisogno di essere capito dall’altro. Per essere capito dall’altro, ha bisogno di capire l’altro.”
Hora Thomas
Vorrei vedere la vostra faccia mentre leggete quello che sembra essere un rompicapo esistenziale, ma mi accontenterò della mia fervida immaginazione.
In sintesi e in verità tutti noi desideriamo essere capiti e proviamo angoscia e insicurezza quando non riusciamo a capire l’altro, specialmente nelle relazioni personali.
È per questo che la comunicazione è così importante per noi? Se vi dicessi che tutto il nostro comportamento non è altro che comunicazione, che tutto quello che facciamo appena ci svegliamo (se in presenza di qualcuno) è produrre informazioni?
Forse le mie domande che contengono già la risposta possono irritare qualcuno o invece possono far spuntare sulla vostra testa molti altri punti interrogativi.
Esempio di come funziona la comunicazione
Se adesso, alle 11.21 mentre sto scrivendo questo articolo io e voi con i vostri dubbi e eventuali disappunti, potessimo incontraci al bar, per un caffè (troppo presto per l’aperitivo), vi rendereste conto che: ad un certo punto io non sarò più l’emittente, che Graziella in certi momenti sarà emittente e in altri destinatario. Stesso discorso vale per Maria (lo so che lo avete capito, ma Maria c’è sempre negli esempi).
In questo gioco del comunicare (dove i ruoli sono dinamici) e grazie all’evoluzione sulla teoria della comunicazione è venuto fuori che l’emittente non è più quello figo, con un ruolo attivo e il destinatario lo sfigato che subisce l’azione-comportamento-informazione dell’emittente.
Quando comunichiamo il destinatario con il solo fatto di esserci (anche se sta muto, il che a volte è piacevole altre super snervante) indirizza la nostra comunicazione, in special modo perché dovete sapere che tutti noi ci frantumiamo il cervello per prevedere reazioni e risposte dell’altro (non sei solo, va tutto bene). Questa stessa congettura influisce sulla nostra comunicazione e via così.
Protagonista indiscusso, colui che dà valore al messaggio tra Graziella, Maria, me e il barista (al quale alla fine ho ordinato uno spritz) è il feedback. Sulla base di quello correggeremo il tiro, procederemo per tentativi ed errori nella speranza di capire ed essere capiti.
In sintesi: Non c’è nessuna linearità nella comunicazione, essa è circolare e infinita.
Non siamo noi a decidere di comunicare
Ve lo faccio spiegare dal mio amico Paul Watzlawick (non ci provate neanche a leggere il cognome, chiamatelo Paul):
C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale, e proprio perché è troppo ovvia viene spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto.
In altre parole, non esiste qualcosa che sia un non comportamento (…), non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.
Se posso darvi un consiglio fate un bel copia e incolla delle perle di Paul e invitale a chi con convinzione (spesso fidanzati e figli) vi guardano e vi dicono: “ma perché fai così? Che ho fatto di male?”
Tutti facciamo sempre qualcosa, tutti colpevoli di comunicazione.
Ma cosa muove il nostro bisogno di comunicare?
Alcuni maschietti staranno furbamente ridendo sotto il loro baffo di tendenza, credendo di non sentire nessuna necessità di comunicare, che siamo noi donne a governare dagli inferi del “Ti devo parlare”.
Ora tralasciando il mio sarcasmo votato al femminile, vi annuncio che una scansione cerebrale (fatta da donne? E chi può dirlo) ha dimostrato che quando abbiamo la possibilità di comunicare ad altri la nostra conoscenza, anche se su cose banali, si attivano i centri della ricompensa del nostro affascinante cervello.
In sostanza proviamo una scarica di piacere quando condividiamo esperienze, idee e tutto ciò su cui siamo o ci riteniamo esperti (qui amici miei attenzione a chi soffre di incompetenza incosapevole).
Non solo ci sentiamo gratificati ma, come la nascita esponenziale di blog ogni giorno sul pianeta ci indica, siamo disposti a pagare per farlo, con il nostro tempo (pensate a quanto ne trascorrete sui social) e a volte sborsando quantità considerevoli di denaro per pubblicare un libro con case editrici ‘vastase‘.
Comunicare ci fa stare bene, i social lo sanno. Prendiamo ad esempio Twitter, secondo uno studio “twittare e ritiwittare aumenta del 75 percento l’attività cerebrale che indica eccitazione emotiva”.
E per quelli che dicono che non usano i social, chiedo:”quante volte, in una discussione con un amico, collega, moglie o amante, avete sentito la necessità di dire la vostra verità, di comunicare?”
Vorrei canticchiarvi la sigla del cartone animato “Il corpo umano“, perché sì siamo fatti così, dei comunicatori nati, che poi riusciamo a farlo con efficacia quella è un’altra storia.