Hanno tutti diritto alla propria opinione? Stronzate, post-verità e filter buble
La mia opinione è guidata dal “buon senso” e se un’esperta sull’argomento mi dice che mi sbaglio io, forte della mia arroganza, mi convinco ancora di più di avere ragione. E chiudo la faccenda con un classico… “ridicola, non sei nessuno”.
Il populista epistemico – Regole di base.
Quante volte hai pensato “ma questo a quale titolo parla?”, quante volte hai dato dell’incompetente a qualcuno? Io ad esempio quando vado alle poste italiane ho la percezione di trovarmi di fronte a operatori vittime del famoso “passaggio del nulla” (cit. La storia infinita), ma non è forse questo un banale pregiudizio su chi lavora alle poste? Io in realtà non so nulla di come si lavora in una posta, di cosa guardano gli sportellisti mentre tu gli parli… dei loro server lenti come quando sei in attesa per fare una visita in un ospedale pubblico. Di contro, quando non sappiamo qualcosa dove la cerchiamo? In pochi acquistano un libro, in molti vanno su google. Non c’è nulla di male nel farlo, e possiamo fare delle ottime ricerche, sempre che ci prendiamo la briga di confutare le fonti e di approfondire laddove è necessario.
C’è stato un tempo in cui si andava in biblioteca per trovare fonti attendibili, c’è stato un tempo in cui era difficile reperire informazioni e testimonianze di esperti. Questa difficoltà credo contribuisse a dare valore alla conoscenza, alla competenza di professionisti, la stessa che oggi viene messa in discussione a causa della società ad alta densità di informazioni che la rete internet ha generato.
C’era un prima che forse puzzava troppo di elitismo epistemico, dove la conoscenza era accessibile e discussa tra pochi eletti, e c’è un adesso in cui ogni cosa può essere cercata su google e poi condivisa e commentata sui social. A tal proposito voglio informarvi che la maggior parte di noi non ha nessuna percezione di essere un “editore” e di non trovarsi nel salotto di casa, siamo in pubblico e ciò che scriviamo/ editiamo rimane per sempre. Per sempre.
La rete ha connesso il mondo, ci consente di informarci velocemente (forse troppo), ha generato l’egualitarismo epistemico, ma di contro ha creato insicurezza sull’autorità delle fonti. Pretendiamo dagli esperti certezze (che non ci possono dare), vorremmo un mondo semplice, senza complicazioni. Vorremmo che i “sedicenti esperti” ci dicessero la verità e che fosse una e una sola, e che la smettessero di creare teorie scientifiche diverse e valide (pluralismo scientifico), perché così ci confondono e probabilmente ci mentono pure (pensate ai virologi da salotto televisivo), poiché la “collusione con i poteri forti” è un’ottima spiegazione a questa immane complessità che altrimenti non sapremmo gestire. Non siamo cattivi, siamo stressati, disinteressati, pigri e incapaci di accettare che nessuno può sapere tutto, neanche tu.
Chi professa il culto “la mia opinione su qualsiasi argomento conta“, ha delle convinzioni molto chiare ad esempio su i diritti civili di gruppi sociali a cui, paradossalmente, non appartiene (ad es. LGBTQIA+), per costoro la realtà è semplice e i problemi sociali si risolvono con azioni altrettanto semplici. Pensate allo slogan “prima gli italiani”, a come viene ipersemplificato il fenomeno delle migrazioni.
Con la rete la “conoscenza” ha perso valore, è stata oscurata da un flusso incontrollato di notizie e in questa valanga di input digitali come sappiamo cosa è vero e cosa è falso? Ci interessa davvero scoprirlo o andiamo a caccia di ciò che si conforma alla nostra opinione? Quanto vogliamo avere ragione?
A tutto ciò va aggiunto che gli algoritmi che studiano i nostri comportamenti e le nostre scelte on line ci restituiscono solo ciò che abbiamo cercato, visualizzato, in sostanza la nostra visione del mondo non si è ampliata con la rete, ma è limitata e limitante. Siamo in una bolla che ci impedisce di guardare oltre le nostre convinzioni (filter buble- echo chamber).
Cos’è la Post-verità
Dunque prima dell’avvento di internet e della diffusione massiccia di fake news e alternative facts l’autorevolezza degli esperti, dal biologo all’agricoltore, era qualcosa a cui davamo valore, di cui potevamo fidarci. Poi abbiamo deciso che leggere un post su Facebook o vedere un video su YouTube ci faceva scoprire un’altra realtà , a sua volta, questo ha portato alla proliferazione di “teorie alternative” le quali, come già accennato, ci aiutano a districarci nel mare infinito della conoscenza e a sentirci meno incerti.
Dubitare di chi è competente è ciò che in filosofia viene definito deflazione dell’autorità epistemica. In piccolo e un pò banalmente, è come andare al ristorante e dire ad uno chef come avrebbe dovuto prepara il tuo piatto perché tu cucini meglio di lei/lui e, più in generale, è ciò che ti porta a redarguire un professionista per come lavora. Chi si comporta così di solito usa espressioni come “sapientoni” “andate a zappare” “siete la rovina del mondo” “professoroni” “ecco come si fa”. Ci piace tanto gonfiare le parole per sminuire l’altro, non trovate?
Dall’articolo La verità in dubbio, leggiamo:
Post-verità parola dell’anno nel 2016 per l’Oxford Dictionaries, questo aggettivo è definito “relativo, o che denota, circostanze in cui i fatti oggettivi hanno meno influenza nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli a emozioni o credenze personali”. Altrettanto famosi ormai sono sia il termine (intrinsecamente ossimorico) alternative facts, che l’espressione fake news, entrambi contributi dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti.
Questo significa che l‘opinione pubblica, la nostra opinione, non si fonda su fatti, sulla conoscenza, sulla razionalità o su dati statistici, ma sulla nostra convinzione che usare il buon senso e la ragione è tutto ciò che conta, che se andiamo su internet sappiamo cercare e riconoscere la verità. Qualche giorno fa io e la mia amica ci chiedevamo come mai in Europa ci fosse tanta destra a governare, sicuramente ci sono molte ragioni, una di queste è che la loro propaganda politica si fonda proprio sul fenomeno della post-verità.
Queste destre estreme, compresa quella guidata da Giorgia Meloni sembrano sussurrarci, nel caso del nostro presidente del consiglio “urlarci” il mantra dell’incompetenza: chi sono questi filosofi, professoroni, storici, scienziati, ecologisti e intellettuali che parlano di società complessa, di pluralismo, di inclusione, emancipazione, di diversità?
In tempi di crisi, alcuni partiti populisti di destra propongono soluzioni abbastanza semplici a problemi molto complessi”
Cathrine Thorleifsson – Professoressa all’Università di Oslo
Stronzate e bugie: chi mente sapendo di mentire?
Per rallegrare il vostro luminoso 2024 e farmi posto tra la lettura di previsioni astrali e l’illusione dei buoni propositi, voglio raccontarvi di un filosofo americano che merita tutta la nostra ammirazione. Lui si chiama Harry Frankfurt e ha scritto Stronzate. Un saggio filosofico, pubblicato in Italia nel 2005. Senza molti formalismi (sia lodato Gesù) scrive:
Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo. Tendiamo però a dare per scontata questa situazione. Gran parte delle persone confidano nella propria capacità di riconoscere le stronzate ed evitare di farsi fregare. Così il fenomeno non ha attirato molto interesse, né ha suscitato indagini approfondite. Di conseguenza, non abbiamo una chiara consapevolezza di cosa sono le stronzate, del perché ce ne siano così tante in giro.
Prendiamo ad esempio l’ultimo discorso di Giorgia Meloni nel quale, tra le altre cose, ha avuto anche tempo di citare il caso balocco-Ferragni, abilmente e un pochino anche prevedibilmente usato per affermare la sua forza populista, per far si di somigliare nelle idee al suo elettorato che è tanto arrabbiato per chi guadagna senza far nulla compresi i percettori di reddito di cittadinanza. In ogni punto della sua autocelebrazione – nessuno mai ha fatto bene come loro, il Presidente del consiglio non dice stronzate – bullshit, ma mente sapendo di mentire. Giorgia Meloni conosce la verità, ma la manipola per fare propaganda politica.
Per il filosofo, la bugia è consapevole e possiede il concetto di verità, mentre la stronzata è completamente svuotata dal concetto di verità. In sintesi il bugiardo dice deliberatamente una bugia (conoscendo la verità), mentre colui che dice una stronzata (bullshitter) è semplicemente disinteressato alla verità stessa. Forse esagero quando sostengo che chi fa parte di Fratelli d’Italia manipola la verità, forse alcuni di loro ci credono veramente che i bambini di una famiglia omogenitoriale non vadano tutelati, proprio a causa della stronzata della famiglia biologica. Un altro slogan per attirare consenso. La famiglia è un costrutto sociale, non biologico, non naturale. E sei vai alle cene di famiglia, lo sai anche tu.
La domanda da farvi prima di augurare al prossimo l’inaspettato “buon anno a te e a famiglia” (solo naturale però!) è: mi interessa veramente conoscere l’argomento o voglio solo dire la mia opinione pur non essendo adeguatamente informata? E a seguire, panettone e prosecco insieme non mi faranno mica venire il reflusso proprio a capodanno?
Cosa fanno gli algoritmi
Secondo me le cose stanno più o meno così: gli algoritmi sono prima vostri follower, studiano le vostre scelte, gusti e interessi, per poi diventare i vostri più spietati influencer, sono coloro che decidono cosa vedrete, leggerete, comprerete, penserete, sono in grado di farvi sentire protetti, al sicuro tra le vostre opinioni dandovi la soddisfazione di essere sempre nel giusto. Saziano l’ego.
Filter buble
L’ambiente virtuale che ciascun utente costruisce in Internet tramite le sue selezioni preferenziali, caratterizzato da scarsa permeabilità alla novità e alto livello di autoreferenzialità. ◆ Proviamo ora ad applicare questo concetto alle storie che leggiamo tutti i giorni sui social network, a quello che Facebook ci propone quotidianamente sul news feed, alle notizie che ci vengono somministrate attraverso un processo che gli esperti hanno definito “Filter Bubble”: in sintesi, Facebook fa comparire nella home solo quello che ritiene essere per noi di rilievo, gli stati e le foto che possono “piacerci”, i contenuti ai quali metteremmo (per l’appunto) più facilmente un “mi piace”, escludendo quello che è diverso, che potremmo non approvare o non interessarci. Letteralmente una bolla, che ci impedisce di guardare oltre.
Quali sono gli effetti collaterali delle filter buble? Primo fra tutti potremmo iniziare a convincerci che i nostri interessi siano gli unici ad esistere, a seguire, limitano la nostra capacità creativa e di pensiero critico. Le filter buble ci tengono a distanza da idee, informazioni e temi nuovi o diversi, ci inducono alla polarizzazione, ossia allo schierarci nettamente su una posizione (politica), senza mai addentarci nella zona dei grigi, ma puntando tutto sul bianco o il nero.
Non dobbiamo per forza prendere posizioni nette su ogni cosa o evento, non dobbiamo dire sempre la nostra opinione. Non dobbiamo far circolare una notizia se non siamo sicuri che sia vera e la fonte attendibile.
Possiamo sempre scegliere di esprimerci solo quando riteniamo di conoscere qualcosa e di tacere quando non conosciamo bene i fatti, un tema, un argomento. Questo accade anche quando parliamo delle persone e delle loro vite. Riflettiamo di più, giochiamo con le infinite possibilità che la mente ci offre, parafrasando Einstein “apriamo il paracadute”. Inganniamo l’algoritmo cercando informazioni che di solito non googliamo, ‘ampio’ deve essere l’ambiente virtuale in cui ci muoviamo, perché se no rischiamo di restare nella trappola delle nostre convinzioni e di estremizzare ogni nostra posizione senza mai il brivido di cambiare idea o di averne di nuove.
Buon anno anche a voi e fatevi un regalo, per quest’anno cambiate influencer.