Nota introduttiva dell’autore: alla lettura dell’articolo vi consiglio di abbinare l’ascolto dell’opera Four seasons: L’inverno di Vivaldi e un bicchiere di vino rosso fermo così da scaldarvi il cuore e rinforzare l’audacia del vostro pensiero.
Polarizzati ai due estremi gli italiani litigano da giorni per come deve essere narrata, trasfigurata, contemplata o sacralizzata la morte di Silvio Berlusconi. Scene degne di un real televisivo, uno a caso Temptation Island, si vedono ovunque: in tv, sui social e perfino su Linkedin, dove pensavo di trovare professionisti e che dunque parlassero solo di cose che sanno realmente. Quanto mi sbagliavo.
E qui sorge la mia riflessione: questo ossequioso rispetto per la morte è ciò che rimane del nostro “essere umani”? É l’idea in sé della morte che ci fa provare pietà o è la persona che muore ed infine il sentimento della morte (dunque la compassione) si trasferisce “per sineddoche” alla persona?
Io non credo che in Italia tutti i morti abbiano pari dignità, visto il lutto nazionale proclamato per la sua scomparsa. Ma in fondo io cosa ne posso sapere, sono solo una donna probabilmente “più bella che intelligente” (il merito della citazione è tutta del cavaliere).
Eppure quelle domande mi hanno spinta a leggere articoli, interviste, commenti su moltissime piattaforme e mi sembra di poter riassumere la querelle così: da una parte abbiamo gli antiberlusconiani che si dicono umanamente dispiaciuti per la sua morte e dall’altro quelli che ne gioiscono. All’estremo opposto troviamo i berlusconiani, quelli che in lui si sono specchiati e che della sua morte ne hanno fatto un dramma esistenziale. Secondo codeste persone Silvio incarnava il meglio dell’italianità, era tanta roba, perfino uno statista.
Non sono qui per dire cosa e chi fosse veramente o per ricordarvi la signora che cantava commossa “menomale che Silvio c’è”, voglio solo ragionare insieme a voi su come gli italiani vedono e sentono in maniera diversa il valore di un essere umano. Più avanti approfondirò la questione.
La vignetta di Vauro sulla morte di Berlusconi, cosa veramente ci turba
Questo è il titolo dell’articolo del Il Giornale.it del 12 giugno, L’odio senza fine di Vauro: la vignetta choc sulla morte di Berlusconi.
Mentre la chiusura bacchetta così: se Vauro vuole davvero iniziare a fare satira, inizi a leggere Guareschi. Non potrà che trarne giovamento e, forse, imparerà anche una lezione: il rispetto dei morti.
Il post di stamattina che linkedin mi ha infilato sotto gli occhi, quasi sapesse di che pasta sono fatta: buonista, pesante, sinistroide, comunista, armocromatica, idealista senza motivo eccetera, condannava con la stessa acredine dell’articolo sopra citato, il vignettista Vauro per il suo odio verso Berlusconi “anche da morto”.
Da questo deduciamo che per alcuni i morti non si possono odiare, quasi si fa peccato e anche che il vignettista odi Berlusconi e per questo è spregevole e difatti i commenti sono stati l’espressione di queste inferenze, ecco il post:


Il suo autore, educato nella conversazione, prova a più riprese a farmi confessare… devo scegliere da che parte stare (bianco o nero) se no come si fa ad accapigliarsi o a gongolarsi nelle nostra echo chamber (quel luogo dove tutti la pensano come noi).
Non credo abbia gradito i miei inviti a non offendere la persona ma semmai a discutere sulla vignetta, a restare sull’argomento. Perché quando si condanna un uomo, ad esempio Vauro per il suo odio (reale o presunto) e però gli si risponde con altrettanto odio, io mi chiedo: cosa speriamo di ottenere?
Probabilmente una manciata di orgoglio italiano per aver difeso il morto dal mostro. Perché si sa far parte di chi sta dalla parte dell’indifeso (un eufemismo per Berlusconi) ci autorizza ad usare un linguaggio offensivo e discriminatorio, queste le regole per chi si sente nel giusto.
Ecco la mia risposta finale, lui non ha replicato… poveretto lo avrò sfinito.

Come diceva mia nonna: «stringiamo il sugo» (andiamo al sodo).
Ci è concesso ammettere di non sapere delle cose e anche di non essere indignati per la vignetta in questione senza essere tacciati per “comunistelli stupidi ed inutili“, citazione di un signore per bene che fa di lavoro il business manager; con al seguito altri che usano frasi offensive sui comunistacci come li chiama un certo avvocato e commercialista.
Tutto questo per dire che:
- quando qualcosa non la si conosce si fa bella figura a non parlarne per forza;
- la satira non la capisco ma non turba nulla in me (chissà perché invece disgusta tanto alcuni… );
- usare un linguaggio d’odio perché si ritiene di essere nel giusto non fa di voi i giusti;
La polarizzazione degli italiani per “valore umano percepito“
La nostra tendenza a polarizzare ve la faccio spiegare dalla meravigliosa sociolinguista Vera Gheno:
Polarizzare tutto su una rigida dualità (o di qua o di là, o bianco o nero) esclude di fatto l’esistenza dei grigi; sembra restituire una visione ordinata della realtà, sembra renderla più comprensibile, ma purtroppo spesso non fa che distorcerla. Siamo abituati alla polarizzazione da decenni di dibattito pubblico «drogato» di estremizzazioni.
Dal libro: Le ragioni del dubbio – L’arte di usare le parole –
La wonder Gheno continua dicendo che la polarazione è quasi un istinto biologico, ma ci invita a passare del tempo tra le sfumature, perché è nella zona del dubbio che abbiamo l’occasione di potenziare la nostra intelligenza.
Questo atteggiamento, questo istinto alla polarizzazione ci impedisce di vedere delle cose e di farci delle domande. Io in questi giorni ho galleggiato tra il vostro bianco e nero e mi è sembrato di capire che ciò che divide gli italiani non è solo come la morte va intesa e se è uguale per tutti, ma soprattutto come percepiamo il valore umano.
I sostenitori della beatificazione di Silvio vedono in lui un mito, il migliore tra gli italiani, perché per loro il valore di un uomo si misura attraverso la sua capacità imprenditoriale (non importa come, importa solo il risultato), nell’essere carismatico alle feste, nel raggiungere il potere, nel fanculizzare la legalità, nel avere tutte le donne che vuole per farci ciò che più desidera (farle diventare le nipoti di qualcuno o parlamentari).
IN SINTESI: colui che ristagna sul fondo della superficie morale ma che è portato in spalla come fosse Gesù Cristo e poi fatto sedere al trono. I suoi discepoli hanno molti slogan, uno tra i miei preferiti è : la sua vita privata non ha nulla a che vedere con la politica.
E in questa visione distorta tutto ciò che Berlusconi non ha fatto per questo paese nei suoi infiniti 30 anni di politica passa inosservato, perché il potere luccica e abbaglia.
E poi c’è chi definisce il valore di un uomo a seconda delle sue idee, le quali lo rendono un “uomo di valore” perché non riguardano il miglior posizionamento della sua vita nella parata sociale, ma fare il bene per gli altri. É quello che fanno ricercatori, studiosi, storici, magistrati e divulgatori, perché non cercano la conoscenza per “diventare immortali” ma per rendere, banalmente, il mondo un posto migliore per tutti.
Ed infine come dice la mia amica Anna, chi eri da vivo rimani da morto.
