Storytelling: l’arte della narrazione

La parola è un grande sovrano, che con un corpo minuscolo e invisibile compie le imprese più divine. Ha il potere di fare smettere la paura, eliminare il dolore, infondere gioia, aumentare la compassione.

Gorgia, Encomio di Elena

Per spigare cos’è lo storytelling vi porto con me a fare un saltello in un passato molto lontano. Prima dell’invenzione della scrittura l’oralità era l’unico mezzo con cui trasmettere memorie, conoscenza e esperienza. Pensiamo alle favole, alla loro funzione a come hanno generato archetipi, morale e etica, speranze, sono la prova di come l’essere umano senta il bisogno di comunicare ciò che ha imparato, di trasmettere valori alle generazioni future. Le prime favole si devono ad Esopo, siamo nel lontanissimo VI sec. a.C., e se guardiamo ad altre civiltà e popoli, se pensiamo allo Visual Storytelling degli Egizi, ossia ai loro geroglifici e a quante cose attraverso di essi ci hanno insegnato e tramandato, ci rendiamo perfettamente conto che dentro il racconto di una storia ci sono mondi ed evocazione di mondi che risuonano dentro di noi.

Esiste dunque un immaginario collettivo, esiste una memoria collettiva, antica, comune, quella memoria è fatta di storie e quando una storia non è solo la mera cronologia di eventi ma diviene racconto, ispirazione, emozione, raffigurazione di uno stato d’animo, accadono tre cose: ci immedesimiamo, di conseguenza proviamo una serie di emozioni, e come altro effetto speciale non la dimentichiamo. Questo accade perché noi umani ricordiamo e memorizziamo le cose o per ripetizione o per emozione. Chi si occupa di pubblicità, chi vende su Instagram, lo sa bene e li usa entrambi.

Lo storytelling che è dentro di te

Tutti noi facciamo storytelling continuamente, cosa significa fare storytelling? Comunicare attraverso i racconti e le emozioni. In generale possiamo affermare che siamo costamente influenzati dallo storytelling (narrazioni della realtà) di chi ci sta vicino, di chi ammiriamo, di chi seguiamo sui social, dai media e dall’opinione pubblica. Ma anche noi siamo storyteller attivi: nel silenzio della nostra camera interiore narriamo senza sosta. Questa tendenza a narrativizzare la nostra vita l’ho concettualizzata con l’espressione, storytelling interiore .

È un istinto quello di raccontarci una storia in testa su chi siamo stati, su chi siamo, su chi avremmo dovuto essere, su quanto non siamo o non siamo stati bravi o quanto invece siamo migliori di altri, e quella storia riusciamo a vederla a sentirne gli effetti sul corpo. Tutti noi siamo narratori e l’aspetto da tener presente, quando parte lo storytelling interiore, è che le narrazioni producono realtà. Un esempio di ciò che vi dico sono le profezie che si autoavverano. Dall’articolo di Annamaria Testa sull’Internazionale leggiamo:

Fallimenti annunciati. Robert Merton, l’inventore della definizione self fulfilling profecy, fa questo esempio: Rosanna si convince ingiustamente che il suo matrimonio fallirà. Quindi si comporta come se fosse già fallito, e lo fa effettivamente fallire. Oppure: Filippo si convince ingiustamente di non avere nessuna possibilità di passare un esame. Studia, ma al momento dell’esame è così agitato da non rispondere neanche alle domande più facili, e non passa.

Dico spesso, dimenticandolo con la stessa frequenza, che il mondo è uno specchio riflesso, dico sempre che le parole che usiamo per definire noi stessi e il mondo sono generatori di realtà; le emozioni che attiviamo attraverso la risonanza del linguaggio e delle immagini, può effettivamente produrre dei cambiamenti.

Ma cosa succede quando usiamo lo storytelling per monetizzare, per fatturare? Parliamo del lavoro più discusso del momento, l’influencer. Un mestiere che per molti è solo un ‘non lavoro’, che suscita l’odio sociale, che brandisce giustizia per chi invece si alza alle sei del mattino e va in fabbrica come se, prima degli influencer non esistessero dei lavori ben pagati e apparentemente meno faticosi. Percezioni distorte?

Lo storytelling degli influencer

Il lavoro di un influencer si fonda sul racconto di aneddoti personali, su ostacoli e obiettivi raggiunti (trasposizione su Instagram attraverso le stories) i quali, se raccontati nel modo giusto (narrazione efficace), generano una connessione, un incontro tra loro e voi. La magia è dovuta alla capacità di immedesimazione umana, di sentire come l’altro sente.

Gli influencer inoltre suppliscono al bisogno umano di avere un leader che stia al di sopra del gruppo sociale di riferimento, che ne stabilisca i valori d’appartenenza e di cui dobbiamo far parte per sfamare l’istinto di sopravvivenza e di accettazione sociale.

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come fare, che aveva un problema ma che adesso ha trovato il modo per superarlo e che condivida la soluzione con noi. L’aspetto straordinario della faccenda è che a differenza di un maestro spirituale, un influencer non è stato illuminato da Dio, ma dai follower, il cui numero stabilisce la sua credibilità. Insomma dodici apostoli non bastano più. Questo per dire che ci scandalizziamo per tutto ciò che ci sembra nuovo, ci inorridisce se i nostri figli emulano musicisti, attori, influencer, gente dello spettacolo, ma non esiste epoca o società che non sia stata guidata, influenzata da individui popolari che hanno dettato mode e valori. Ogni generazione sembra dimenticarlo, tutte le volte che passa il testimone; la popolarità è la nuova spunta blu, accettiamolo.

Ciò che ho appena scritto è legato alla mia lettura giornaliera dei commenti degli utenti sui vari social, pratica che mette alla prova la parte migliore di me, in molti mi sembrano concordi su un’aspetto: chi segue gli influencer è imbecille. Una convinzione forse dovuta al fatto che non abbiamo consapevolezza dei meccanismi più atavici del cervello umano: i nostri antenati sapevano che stare in un gruppo significava avere più possibilità di sopravvivere, che stare da soli significava pericolo, questa informazione è ancora dentro di noi. A ciò si aggiunge un’altra tendenza degli individui, quella di farsi ispirare da chi prima di noi è riuscito. Abbiamo bisogno di speranza e di riporla in qualcuno.

Poi è ovvio che se il mio modello di vita, ad esempio, è Berlusconi (il più grande influencer italiano, che Chiara non sei nessuno) forse sarebbe il caso di rivedere i mie valori sociali, eppure in Italia fa più scandalo la Ferragni e la presunta beneficenza che Berlusconi e tutte le sue “bravate” conclamate giuridicamente.

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